Indicativamente, un dispositivo digitale per la visione notturna consiste di una lente dell’obiettivo, un sensore sensibile alla luce, componenti elettronici per l’elaborazione dell’immagine, un comando, un display e un oculare.
1 | Oculare |
2 | Display |
3 | Componenti elettronici per l’elaborazione dell’immagine |
4 | Sensore |
5 | Lente dell’obiettivo |
6 | Illuminatore a infrarossi (IR) |
7 | Batterie |
L’alimentazione dei dispositivi digitali notturni è fornita da elementi sostituibili: batterie ricaricabili di uguale dimensione o batterie ricaricabili integrate. I dispositivi possono essere equipaggiati con una presa per collegare una fonte di alimentazione esterna, come ad esempio il caricabatterie dell’automobile o delle batterie esterne ricaricabili.
Al fine di lavorare in condizioni di scarsa illuminazione, gli strumenti digitali notturni sono spesso equipaggiati con illuminatori a infrarossi integrati, basati su un diodo laser o LED. Per una maggiore fruibilità, essi possono includere un sistema per il controllo da remoto con numerose funzioni; in questo caso l’utente può controllare il dispositivo con l’aiuto di un telecomando (RC).
I dispositivi digitali possono essere attrezzati con slitte per il montaggio su un’arma.
Come in tutti gli strumenti ottici per l’osservazione, la lente dell’obiettivo ha la funzione di proiettare le immagini sulla superficie del sensore, che a sua volta trasforma i riflessi di luce dall’oggetto in un segnale elettrico.
In qualità di elemento sensibile alla luce si utilizza un sensore CCD o CMOS.
SENSORE CMOS SENSORE CCD
Solitamente il gruppo elettronico di elaborazione dell’immagine consiste di una o più schede (a seconda della configurazione del dispositivo) sulle quali si trovano dei circuiti specializzati nell’ elaborazione del segnale ricevuto dal sensore, che viene poi inviato al display dove l’immagine dell’oggetto osservato prende forma. Le schede contengono i più importanti comandi dello strumento, così come i circuiti di alimentazione sia per l’intero dispositivo che per componenti separati.
Dato che i visori digitali notturni dispongono di un micro display, per poter osservare l’immagine è necessario utilizzare un oculare che funge da lente d’ingrandimento e consente all’utente di vedere l’immagine ingrandita.
I display più diffusi sono LCD di tipo trasmissivo, che vengono illuminati dalla parte posteriore, oppure OLED, che emettono luce quando ricevono corrente elettrica.
L’uso di display OLED assicura alcuni vantaggi: la possibilità di utilizzare il dispositivo con basse temperature, luminosità e contrasto delle immagini superiori, una costruzione più semplice e affidabile grazie all’assenza di sorgenti di luce dietro al display. Oltre a LCD e OLED, i dispositivi digitali possono anche disporre di display realizzati con la tecnologia LCOS (cristallo liquido su silicone), che sono di tipo riflettente.
A differenza degli strumenti per la visione notturna basati su tubi analogici che intensificano l’immagine, quelli digitali consentono l’implementazione di un numero superiore di funzioni e di regolazioni da parte dell’utente. Tra queste vi sono la regolazione della luminosità, del contrasto, la selezione del colore dell’immagine, l’aggiunta di informazioni nel campo visivo (ora, carica della batteria, icone delle funzioni attive, ecc.), uno zoom digitale supplementare, la funzione Picture-in-Picture (in un riquadro separato si può vedere un’immagine ingrandita dell’oggetto osservato) e la disattivazione momentanea del display (per risparmiare energia o per non rivelare la presenza dell’osservatore).
Essi possono anche includere una funzione di videoregistrazione per il salvataggio di foto e video.
Con dei dispositivi digitali è semplice implementare funzionalità come la connessione wireless (Wi-Fi), la trasmissione di dati (foto e video) a ricevitori esterni, l’integrazione di telemetri laser (i dati provenienti dal telemetro possono essere mostrati nel campo visivo) e di sensori GPS che sono in grado di stabilire le coordinate dell’oggetto osservato.
Un aspetto certamente vantaggioso è la capacità di lavorare in condizioni di luce diurna senza il disturbo di bagliori di luce o di sorgenti intense di luce, che potrebbero danneggiare strumenti basati su un tubo intensificatore di immagine.
Solitamente nei cannocchiali da puntamento digitali il reticolo è anch’esso digitale, il che significa che l’immagine dello stesso durante l’elaborazione del segnale video viene sovrapposta all’immagine sul display e spostata elettronicamente, eliminando la necessità di parti meccaniche per apportare correzioni balistiche. Queste parti meccaniche sono spesso usate nei cannocchiali analogici, sia per uso notturno che diurno, e richiedono un’elevata precisione nel processo di produzione e montaggio.
Oltre a questo, si evitano effetti tipici dei cannocchiali ottici o notturni come la parallasse, grazie al fatto che l’immagine osservata e quella del reticolo si trovano sullo stesso piano, quello del display.
I cannocchiali digitali possono memorizzare una grande quantità di reticoli con differenti configurazioni e colori, assicurando la possibilità di rapidi e semplici “azzeramenti con un solo colpo” o “azzeramenti con blocco immagine”; possono disporre della funzione di correzione balistica automatica del reticolo al variare della distanza di sparo, salvare più coordinate di azzeramento per armi differenti, mostrare l’inclinazione laterale dell’arma e l’angolo di elevazione, e altro ancora.
PARAMETRI PRINCIPALI DEI DISPOSITIVI DIGITALI NOTTURNI
INGRANDIMENTO
Questo parametro indica di quante volte l’immagine dell’oggetto osservato con lo strumento è più grande dell’oggetto stesso osservato a occhio nudo.
Unità di misura: numero seguito da ‘x’ (es. ‘2x’ = ingrandito 2 volte)
Per i dispositivi notturni, inclusi quelli digitali, i valori tipici di ingrandimento vanno da 1x a 5x, in quanto il loro compito primario è il rilevamento e l’identificazione di oggetti in condizioni di scarsità di luce. Un maggiore ingrandimento in questi strumenti determina una riduzione significativa della capacità complessiva di raccolta della luce, e di conseguenza l’immagine risulterà molto più scura rispetto a una osservata con un ingrandimento inferiore.
La riduzione della capacità di raccolta della luce dovuta all’aumento dell’ingrandimento può essere compensata dall’incremento del diametro della lente dell’obiettivo, ma questo a sua volta comporta un aumento del peso e delle dimensioni del dispositivo, rendendo meno comodo l’utilizzo di visori notturni che si potrebbero tenere in una mano (soprattutto cannocchiali da puntamento, visto che chi li utilizza deve anche imbracciare un’arma).
L’ingrandimento è determinato dalle lunghezze focali della lente obiettivo e dell’oculare, così come da un coefficiente K che equivale al rapporto tra le dimensioni (diagonale) del display e del sensore:
M= (fo/fe)*К= (fo/fe)*(Ld/Ls), dove
fo – lunghezza focale della lente dell’obiettivo
fe – lunghezza focale dell’oculare
Ls – dimensione (diagonale) del sensore
Ld – dimensione (diagonale) del display
Relazione
Maggiore la lunghezza focale dell’obiettivo e la dimensione del display, maggiore è l’ingrandimento
Maggiore la lunghezza focale dell’oculare e la dimensione del sensore, minore è l’ingrandimento
1x | 2x |
3x | 4x |
RISOLUZIONE
La risoluzione è la capacità da parte del dispositivo di mostrare separatamente due punti o linee adiacenti. Tecnicamente questo parametro può essere chiamato risoluzione, potere di risoluzione o risoluzione massima. Fondamentalmente il significato è il medesimo. La risoluzione si indica normalmente in linee per millimetro (lpm) oppure in unità angolari (secondi o minuti).
Maggiore è il valore della risoluzione in linee per millimetro e minore il valore in unità angolari, maggiore sarà quindi la risoluzione. A una risoluzione maggiore corrisponderà un’immagine più chiara da osservare.
Per strumenti di visione notturna è raccomandabile una risoluzione non inferiore a 25 lpm, che consente di distinguere la sagoma di una persona da quella di un animale o di un altro oggetto di dimensioni simili a una distanza di 100 metri.
Per misurare la loro risoluzione si utilizza uno strumento chiamato collimatore. Quest’ultimo consente di creare un’immagine a imitazione di un particolare oggetto di prova, una tabella illuminata di linee posta a una distanza predefinita (solitamente 100 metri)
Dopo aver osservato con il dispositivo l’immagine dell’oggetto di prova, si può trarre una conclusione in merito alla risoluzione dello strumento per la visione notturna: più piccole sono le linee della tabella che si possono vedere chiaramente separate le une dalle altre, maggiore è la risoluzione.
Risoluzione normale Bassa risoluzione
La risoluzione è conseguenza dei parametri degli elementi ottici del dispositivo, del sensore, del display, dei circuiti elettronici interni e dagli algoritmi di elaborazione del segnale.
La risoluzione complessiva dell’unità dipende dai parametri della lente dell’obiettivo. A parità di tutti gli altri elementi, a un maggior diametro della lente corrispondono un ingrandimento e una capacità di raccolta della luce superiori e quindi la possibilità di evidenziare dettagli sempre più piccoli.
La risoluzione è poi legata alla risoluzione delle lente dell’obiettivo e dell’oculare. La prima crea l’immagine di un oggetto sul piano del sensore, e nel caso la risoluzione della lente non sia sufficiente, un ulteriore miglioramento della risoluzione del dispositivo risulta impossibile. Analogamente un oculare di bassa qualità può deteriorare l’immagine altrimenti nitida ricreata sul display dagli altri componenti dello strumento.
Il sensore riveste un’importanza notevole relativamente alla risoluzione del dispositivo, a partire dalla risoluzione del sensore stesso, cioè la quantità di pixel (solitamente indicata come il prodotto tra pixel in una linea e in una colonna) e la loro dimensione.
Relazione:
Maggiore la quantità di pixel e minore la loro dimensione, maggiore è la risoluzione
Questa affermazione è corretta se i sensori hanno la stessa dimensione fisica. Sensori con una densità di pixel superiore per unità di superficie hanno risoluzioni maggiori
A differenza dei sensori in bianco e nero, la risoluzione dei sensori a colori è mediamente più bassa del 30-40% a causa di una struttura diversa dei pixel: nei sensori a colori un pixel è costituito da una combinazione di tre sottopixel, ognuno dei quali è ricettivo soltanto alla luce di una parte dello spettro (rispettivamente rosso, blu, verde) tramite l’utilizzo di filtri di luce colorati che consentono il passaggio della luce di un solo colore. Di conseguenza quando una luce monocroma colpisce il pixel di una fotocamera a colori, il segnale viene registrato soltanto da un sottopixel, mentre in un sensore in bianco e nero questo segnale viene registrato da ogni pixel colpito dalla luce. Questo è uno dei motivi per cui l’utilizzo di sensori a colori nei visori notturni è limitato e spesso ingiustificato.
Light | Luce |
Microlenses | Microlenti |
Colour filter | Filtro a colori |
Photodiode | Fotodiodo |
La risoluzione di un dispositivo è influenzata anche dai parametri del display utilizzato. Come nel caso del sensore, il ruolo principale spetta alla risoluzione del display stesso (la quantità di pixel) e alla dimensione dei pixel. La densità dei pixel nel display è indicata in PPI (pixel per pollice), che definisce il numero di pixel per pollice quadrato.
Low density | Bassa densità |
Medium density | Media densità |
High density | Alta densità |
1 pixel | 1 pixel |
1 inch | 1 pollice |
Nel caso di un trasferimento diretto dell’immagine - senza modificarne la scala - dal sensore al display, la risoluzione di entrambe sarebbe la medesima. Così facendo la riduzione della risoluzione del dispositivo viene evitata (questa riduzione si verifica quando la risoluzione del display è inferiore a quella del sensore) e non c’è bisogno di utilizzare un display costoso, la cui risoluzione sia superiore a quella del sensore. Quando quest’ultimo produce un segnale in un formato TV analogico standard come PAL (625 linee per frame) o NTSC (525 linee per frame), il ricorso a un sensore con risoluzione maggiore di quella del formato del segnale TV è irragionevole.
I dispositivi digitali per la visione notturna usano diversi algoritmi per l’elaborazione dei segnali, e questo può avere conseguenze sulla risoluzione complessiva. Innanzitutto si può parlare di zoom digitale quando l’immagine del sensore viene elaborata digitalmente e trasferita al display con un certo ingrandimento. In questo caso la risoluzione generale del dispositivo viene ridotta. Un effetto simile può essere osservato nelle fotocamere digitali quando si effettua lo zoom digitale.
La risoluzione è influenzata anche dal binning, un algoritmo che aumenta la sensibilità dello strumento raccogliendo segnali da più pixel adiacenti, provocando così una riduzione proporzionale della risoluzione.
Oltre ai fattori citati, ve ne sono altri che meritano di essere menzionati e che possono abbassare la risoluzione del dispositivo. Ci sono disturbi di vario tipo che distorcono i segnali e quindi compromettono la qualità dell’immagine, tra i quali:
Fotoni: è la conseguenza della natura discontinua della luce. I fotoni di luce cadono sulla superficie foto-sensitiva del sensore in maniera non simultanea e non uniforme nello spazio.
Corrente oscura (“effetto nevicata”): se la lente dell’obiettivo è coperta e non c’è passaggio di luce, si potranno osservare dei fotogrammi “scuri” sul display. Il motivo principale di questo fenomeno è l’emissione termoionica di elettroni, ossia l’emissione spontanea di elettroni dovuta al riscaldamento del sensore. Più è bassa la temperatura, minore è il segnale di corrente oscura e quindi inferiore il disturbo generato.
Trasferimento: nel corso del trasferimento di energia all’interno del sensore una parte degli elettroni che costituiscono il segnale viene persa, a causa dei difetti e delle impurità presenti sul cristallo del sensore.
Lettura: quando il segnale presente in un pixel viene estratto dal sensore, trasformato in voltaggio e amplificato, ogni suo elemento acquisisce un ulteriore disturbo che viene chiamato disturbo di lettura.
Per ridurre i disturbi, gli strumenti digitali fanno ricorso a diversi algoritmi software per l’elaborazione dell’immagine, spesso definiti algoritmi per la riduzione dei disturbi.
Oltre ai vari disturbi, le interferenze elettriche derivanti da configurazioni errate delle parti interne (la posizione delle schede elettroniche, il cablaggio interno) o da un errore nella disposizione delle schede (la posizione delle vie di conduzione, la presenza e qualità degli strati protettivi) possono abbassare notevolmente la risoluzione. Le interferenze possono anche essere dovute a errori nei circuiti elettrici, come una scelta sbagliata degli elementi per la creazione di vari filtri e per l’alimentazione dei circuiti stessi. Per questi motivi la configurazione e disposizione delle schede elettriche e la codifica di software di elaborazione del segnale sono aspetti fondamentali e non semplici quando si tratta di progettare strumenti digitali per la visione notturna.
La risoluzione dell’immagine in quest’ultimi dipende infine anche dalle condizioni di osservazione. Maggiore l’illuminazione dell’oggetto osservato, più chiara risulterà l’immagine che vedremo. Pertanto si può affermare che la massima risoluzione si raggiunge in situazioni quasi da luce diurna o con l’aiuto di un potente illuminatore a infrarossi.
SENSIBILITÀ
Per definire la sensibilità di una fotocamera digitale viene spesso usato il valore che indica il livello di illuminamento minimo dell’oggetto osservato quando essa è ancora in grado di produrre un’immagine.
Questa classificazione è la più adatta per dei dispositivi digitali che operano nell’intervallo dello spettro visibile, per il quale l’unità di misurazione della sensibilità è l’unità di luce: il lux.
Dato che gli strumenti digitali sono pensati per un utilizzo notturno, quando lo spettro infrarosso è prevalente, per definire la loro sensibilità è più corretto utilizzare unità di energia che descrivono il flusso di luce.
Pertanto il parametro di sensibilità di un dispositivo digitale per la visione notturna può essere definito come il valore minimo della potenza della radiazione infrarossa che entra nel dispositivo, quando quest’ultimo è ancora in grado di produrre un’immagine con una risoluzione sufficiente a riconoscere l’oggetto osservato (in conformità con una risoluzione di 25 lpm).
Oltre a questo, vi è il parametro della sensibilità spettrale, ovvero la potenza minima su una specifica lunghezza d’onda dello spettro infrarosso. Quando questo dato viene fornito, esso indica anche la lunghezza d’onda della luce alla quale si è raggiunto questo valore.
A differenza dell’illuminamento nello spettro visibile, è impossibile misurare in lux l’illuminamento nell’intervallo infrarosso. In questo caso è ragionevole ricorrere a un’unità di misura universale, il watt.
La sensibilità di uno strumento dipende quindi da questi parametri:
Per raggiungere una sensibilità elevata in un dispositivo digitale notturno è necessario raccogliere tutti i fotoni di luce che entrano nella lente dell’obiettivo, e trasferirli sulla superficie del sensore - sensibile alla luce - senza perderne alcuno. Un ruolo fondamentale nel processo di trasferimento dei fotoni è svolto dalla lente dell’obiettivo e dalle sue caratteristiche come la capacità di raccolta della luce, il numero di lenti nello schema ottico, la qualità del rivestimento antiriflesso delle lenti e l’oscuramento del fondo della lente (per prevenire la dispersione della luce all’interno dell’obiettivo).
Relazioni:
Maggiore è la capacità di raccolta della luce della lente dell’obiettivo (cresce quando la pupilla di entrata aumenta e la lunghezza focale si riduce), maggiore la sensibilità complessiva del dispositivo.
Maggiore è il numero di lenti nell’obiettivo, minore la capacità di raccolta della luce e la sensibilità del dispositivo.
Maggiori sono i coefficienti di trasmissione ottica delle lenti che costituiscono l’obiettivo, maggiore la sensibilità.
Il sensore è il principale ricevitore e convertitore della luce in un segnale elettrico. Esso definisce in gran parte la sensibilità del dispositivo. La sensibilità del sensore è legata alla dimensione dei pixel e alla loro densità. A parità di altre condizioni, a una maggiore dimensione dei pixel corrisponde una maggiore sensibilità del sensore. Un minor rapporto tra l’area complessiva del sensore e l’area complessiva dei pixel risulta in una superiore sensibilità complessiva del sensore.
Recentemente diversi produttori di strumenti economici per la visione notturna hanno cominciato a utilizzare sensori per fotocamere poco costosi (soprattutto sensori a colori). Questi sensori hanno una buona sensibilità per quanto riguarda l’intervallo di spettro visibile (luce diurna), ma una sensibilità molto bassa nello spettro infrarosso. Le specifiche tecniche di questi prodotti non riportano informazioni in merito alla sensibilità, ma riportano orgogliosamente una grande quantità di megapixels. È facile concludere che, nonostante un’alta risoluzione del sensore, questi dispositivi non siano in grado di produrre buone immagini notturne senza una sorgente di illuminazione potente, a causa della bassa sensibilità del sensore nell’intervallo dello spettro infrarosso.
Un secondo errore abituale è l’indicazione della sensibilità degli strumenti digitali per la visione notturna in unità fotometriche (lux). In questo caso il valore della sensibilità può arrivare a un decimillesimo di lux, che è notevolmente superiore a ciò che i dispositivi analogici basati su tubi a potenziamento di immagine di generazione 2+ o successiva sono in grado di raggiungere. Questa sensibilità straordinaria può essere spiegata in maniera semplice. Normalmente per la misurazione della sensibilità si utilizza un luxmetro, le cui caratteristiche spettrali coincidono con quelle dell’occhio umano (vedi diagramma). Così come l’occhio umano, un luxmetro è in grado di percepire (misurare) la luce soltanto nello spettro visibile, da 380 a 780 nm. Di conseguenza, quando si misura l’illuminamento di notte con un luxmetro, i valori ottenuti sono prossimi a zero, dato che la luce dello spettro visibile è praticamente assente. Tuttavia è presente una forte radiazione infrarossa (vedi diagramma dell’illuminazione naturale del cielo di notte) che il luxmetro non rileva, mentre gli strumenti per la visione notturna al contrario la rilevano facilmente. A titolo di esempio, il diagramma mostra grafici della sensibilità spettrale di sensori CCD SONY e di tubi a potenziamento di immagine di generazione 2+ o successiva.
Human eye spectral sensitivity graph | Grafico della sensibilità spettrale dell’occhio umano |
Natural night sky illumination spectral sensitivity graph | Grafico della sensibilità spettrale dell’illuminazione naturale del cielo notturno |
CCD sensor (SONY) spectral sensitivity graph | Grafico della sensibilità spettrale di un sensore CCD (SONY) |
Ga-As photocathode spectral sensitivity graph | Grafico della sensibilità spettrale di un fotocatodo Ga-As |
Wavelength, nm | Lunghezza d’onda, nm |
La sensibilità spettrale definisce la capacità di uno strumento per la visione notturna di funzionare efficacemente con l’oscurità. Generalmente è indicata su una o più lunghezze d’onda dello spettro. Il modo migliore di comprendere la “qualità” di un dispositivo digitale notturno è avere i dati relativi alla sensibilità spettrale a lunghezze d’onda come ad esempio 780…810 nm (il valore medio della radiazione infrarossa del cielo stellato; in questo intervallo i sensori hanno una sensibilità media) e 910…940 nm (valore elevato della radiazione infrarossa del cielo stellato: intervallo dell’infrarosso invisibile, alla quale i sensori sono ancora ricettivi)
Confrontando la sensibilità spettrale di differenti strumenti digitali è possibile trarre conclusioni circa la loro capacità di “vedere” nella notte, sempre ricordando che la sensibilità dello strumento digitale non dipende soltanto da quella del sensore, ma anche da altre caratteristiche quali la risoluzione dell’oculare e della lente dell’obiettivo, la risoluzione del display, il potere di raccolta della luce della lente dell’obiettivo, la qualità del sensore (assenza di disturbi), la qualità dei circuiti (assenza di interferenze) e gli algoritmi di elaborazione del segnale.
I dispositivi digitali notturni attuali utilizzano principalmente due tipi di sensore, CCD e CMOS. La differenza più importante tra di essi è il processo elettronico di lettura del segnale dai pixel. Infatti nei sensori CCD (dispositivo ad accoppiamento di carica) i segnali provenienti da ciascun pixel sono trasferiti sequenzialmente all’elettronica del sensore, e successivamente il segnale complessivo viene amplificato. Nei sensori CMOS (semiconduttore complementare di ossido metallico) i segnali provenienti da tutti i pixel sono letti contemporaneamente e amplificati individualmente da un amplificatore per ogni pixel; per questo motivo – la necessità di avere parte del sensore occupata da un gran numero di amplificatori – la densità dei pixel nei sensori CMOS è inferiore rispetto ai CCD, così come la loro sensibilità. Negli ultimi anni sono apparse nuove tecnologie per la fabbricazione di sensori CMOS (EXMOR SONY, BSI (Toshiba, Omnivision)) finalizzate all’incremento della densità dei pixel sulla superficie del sensore, che risulta in un aumento della sensibilità complessiva del sensore. I parametri di questi sensori sono vicini ai valori raggiunti dai sensori CCD, e i più avanzati tra di essi arrivano a superarli sotto qualche aspetto.
Anche il display del dispositivo influenza la sua sensibilità complessiva, soprattutto a discapito della risoluzione, del contrasto e della luminosità.
È possibile esprimere un giudizio sul funzionamento di strumenti digitali notturni anche facendo un raffronto con dispositivi basati su tubi a intensificazione di immagine di generazione 2+ o 3. Il diagramma della sensibilità mostra chiaramente che i sensori CCD e il fotocatodo dei tubi a intensificazione di immagine di generazione 2+ o 3 hanno una sensibilità superiore nell’intervallo infrarosso 750-850 nm e inferiore nell’intervallo oltre i 900 nm.
Confrontando questi dati col grafico della diffusione spettrale dell’illuminazione naturale notturna, si può affermare che in modalità passiva (senza radiazione infrarossa supplementare) il vantaggio – cioè una maggiore sensibilità – di notte è per i dispositivi basati su tubi a intensificazione di immagine di generazione 2+ e 3.
L’aspetto importante qui è che nell’intervallo superiore a 900 nm gli strumenti digitali mantengono comunque una certa sensibilità (quando la lunghezza d’onda aumenta, la sensibilità diminuisce gradualmente), mentre quella dei dispositivi basati sul tubo di generazione 2+ e 3 cala rapidamente verso lo zero. Per questo motivo i dispositivi basati sul tubo intensificatore sono inefficaci quando utilizzati con illuminatori a infrarossi invisibili (es. 915 o 940 nm), mentre gli strumenti digitali sono assolutamente compatibili con essi. Dato che i dispositivi analogici, soprattutto di generazione 2+, necessitano spesso di un’illuminazione supplementare quando vengono usati in un contesto non urbano (come quando si va a caccia), una questione di compatibilità con gli illuminatori a infrarossi invisibili si rivela un vantaggio significativo degli strumenti digitali.
In questo contesto, la sensibilità è il valore minimo della potenza della radiazione infrarossa. Per questo minore è il suo valore numerico in watt, maggiore è la sua sensibilità.
A fini comparativi guardiamo ai valori rilevati di sensibilità per degli strumenti digitali notturni Yukon e Pulsar (vedi tabella) a una lunghezza d’onda di 780 nm. Digisight N750 a una lunghezza d’onda di 780 nm è molto più sensibile di NVMT Spartan 3x42, ma meno di Phantom 3x50 di generazione 2+. A una lunghezza d’onda di 915 nm, Digisight N750 ha già un vantaggio rispetto a Phantom 3x50 di generazione 2+.
Dispositivo per la visione notturna |
Generazione |
Sensibilità spettrale |
Sensibilità spettrale |
Digisight N750 |
Digitale |
≈2,5·10 -5 |
≈1,2·10 -4 |
Phantom 3x50 |
II+ |
≈1,5·10 -5 |
≈5·10 -4 |
Spartan 3x42 |
I |
≈25·10 -5 |
≈8000·10 -4 |
Spartan 4x50 |
I |
≈15·10 -5 |
≈2500·10-4 |
CAMPO VISIVO
Questo parametro indica la dimensione dello spazio che può essere osservato simultaneamente con un dispositivo. Normalmente è indicato in gradi (l’angolo del campo visivo è raffigurato con ‘2Ѡ’ nell’immagine sottostante) oppure in metri per una distanza nota (L) dall’oggetto osservato. Il campo visivo lineare è indicato con A nell’immagine sottostante.
Il campo visivo degli strumenti digitali notturni è definito dalla lunghezza focale della lente dell’obiettivo (fob) e dalla dimensione fisica del sensore (B). Solitamente per il calcolo del campo visivo si utilizza l’ampiezza (dimensione orizzontale) del sensore, e il risultato è un campo visivo orizzontale angolare:
2Ѡ=2*arctg(B/(2* fo))
Conoscendo la dimensione verticale del sensore – l’altezza – e quella diagonale, si può calcolare il campo visivo angolare verticale e diagonale.
Relazione:
Maggiore è la dimensione del sensore o minore la lunghezza focale della lente dell’obiettivo, maggiore è l’angolo del campo visivo.
A un campo visivo maggiore corrisponde una maggiore comodità nell’osservare gli oggetti, non essendoci bisogno di continui movimenti del dispositivo per coprire lo spazio desiderato.
È importante comprendere che il campo visivo è inversamente proporzionale all’ingrandimento: aumentando quest’ultimo si riduce il campo visivo.
Allo stesso modo, quando il campo visivo aumenta, le distanze di rilevamento e riconoscimento si riducono, sia perché si riduce l’ingrandimento sia perché per un’osservazione agevole potrebbe rendersi necessario l’uso dell’illuminatore a infrarossi, con un’ampia divergenza angolare del raggio (dovrebbe corrispondere all’incirca al campo visivo angolare). Questo a sua volta comporta una riduzione della luminanza rispetto alla superficie e della distanza operativa dell’illuminatore a infrarossi.
ESTRAZIONE PUPILLARE
L’estrazione pupillare è la distanza tra la superficie esterna dell’ultima lente dell’oculare e il piano in cui si trova l’occhio dell’osservatore quando l’immagine osservata è ottimale, con il più ampio campo visivo possibile e distorsioni minime. Questo parametro è molto importante per il mirino di un’arma, dove l’estrazione pupillare dovrebbe essere di almeno 50 mm (idealmente 80-100 mm). Questi valori sono necessari per prevenire possibili infortuni dovuti al rinculo causato dallo sparo. Nei dispositivi per la visione notturna l’estrazione pupillare normalmente equivale alla lunghezza della visiera posta a protezione dall’illuminazione del tubo intensificatore di immagine o del display.
DISTANZA DI RILEVAMENTO E DI RICONOSCIMENTO
Distanza di rilevamento: è la distanza massima tra il dispositivo di osservazione e l’oggetto (solitamente una persona) alla quale quest’ultimo può essere rilevato grazie al dispositivo.
Distanza di riconoscimento: è la distanza massima alla quale l’osservatore è in grado di riconoscere la tipologia dell’oggetto osservato (persona, animale, edificio, ecc.)
Questi valori non si mantengono costanti per ogni strumento, ma piuttosto dipendono da una serie di parametri:
Strumenti che dispongono di ingrandimenti superiori – a parità di altre condizioni – consentono di avvicinare di più gli oggetti osservati, pertanto la distanza di rilevamento e di riconoscimento sono in questo caso superiori.
La risoluzione del dispositivo influenza in maniera rilevante la distanza di riconoscimento; un’elevata risoluzione permette all’osservatore di riconoscere con più sicurezza la tipologia dell’oggetto, grazie a un’immagine più chiara dei dettagli dello stesso.
La sensibilità degli strumenti digitali notturni influisce in maniera analoga su questi parametri. Una sensibilità superiore assicura immagini più nitide e ricche di contrasto a distanze superiori.
Oltre alle caratteristiche dei dispositivi, la distanza di rilevamento e di riconoscimento può variare notevolmente in base alle condizioni di osservazione e all’oggetto osservato. Le condizioni di osservazione sono definite dal livello di illuminazione naturale del cielo notturno e dalla trasparenza dell’atmosfera. Se entrambe si riducono – in caso di nebbia, fumo, polvere, ecc. – le distanze di rilevamento e di riconoscimento si ridurranno a loro volta.
Per quanto concerne l’oggetto, le sue proprietà riflettenti hanno un effetto simile; esse sono definite dal colore e dall’aspetto (opaco o lucido) della superficie, così come dal contrasto tra oggetto e sfondo. È chiaramente più semplice rilevare e identificare un animale in un prato innevato che ai margini di una foresta, di un campo o di una prateria.
In condizioni di scarsità di luce, l’utilizzo di un illuminatore a infrarossi può migliorare la distanza di rilevamento e di riconoscimento. Oltre ad aumentare l’illuminamento complessivo dell’oggetto, in alcuni casi la radiazione dell’illuminatore viene riflessa molto bene dagli occhi degli animali, e per questo essi possono essere rilevati a distanze molto elevate: i loro occhi appariranno come punti luminosi durante l’osservazione con uno strumento per la visione notturna.
ILLUMINATORI A INFRAROSSI
Vale la pena menzionare l’utilizzo di illuminatori a infrarossi con gli strumenti digitali notturni. Solitamente i dispositivi notturni sono equipaggiati con illuminatori a infrarossi integrati. Allo stesso tempo sul mercato c’è un’ampia scelta di illuminatori, venduti come accessori da utilizzare con i dispositivi stessi.
In base al tipo di sorgente dell’emissione, gli illuminatori possono essere suddivisi in due gruppi principali: illuminatori LED e illuminatori laser.
I primi utilizzano un diodo semiconduttore, che emette radiazioni a una certa lunghezza d’onda dell’intervallo dell’infrarosso. In commercio ve ne sono con diverse lunghezze d’onda (spesso 805 nm, 850 nm e 940 nm) e diversa potenza.
I secondi sono basati su diodi laser a semiconduttore, e offrono importanti vantaggi rispetto agli illuminatori LED.
Innanzitutto, la radiazione degli illuminatori laser è coerente, che significa che tutti i fotoni di luce in un raggio hanno la stessa energia, direzione e lunghezza d’onda. Per questo motivo un raggio di luce possiede una densità ad alta energia in un intervallo spettrale ristretto, che conserva anche su lunghe distanze. I LED invece hanno una radiazione diffusa con un ampio intervallo spettrale e grandi perdite di energia allontanandosi dalla sorgente. Di conseguenza, a parità di potenza, l’illuminatore laser è in grado di illuminare l’oggetto osservato a distanze superiori rispetto al LED; in altre parole la sua “distanza operativa” è maggiore.
Oltre a questo, il consumo di energia degli illuminatori laser, a parità di potenza, è notevolmente inferiore rispetto a quelli a LED.
I parametri principali di un illuminatore sono il potere di irraggiamento e la divergenza angolare del raggio.
Il potere di irraggiamento è il fattore più importante per quanto concerne la distanza operativa. È legato al tipo di sorgente, allo schema ottico e alla qualità delle lenti e del rivestimento anti-riflessione. Nella maggior parte degli illuminatori LED il massimo potere di irraggiamento va da 30 a 100 mW (con gli illuminatori integrati che presentano valori più bassi rispetto a quelli smontabili, costruiti come accessori).
Negli illuminatori laser la potenza massima varia tra 10 e 50 mW, con un consumo di energia simile agli illuminatori LED.
Nel caso si utilizzino più illuminatori contemporaneamente (uno integrato con uno smontabile), l’illuminamento complessivo dell’area interessata equivarrà alla loro somma, ma solo se l’oggetto da osservare si trova a una distanza non superiore alla massima distanza operativa di ciascun illuminatore, in modo che ognuno di essi sia in grado di illuminarlo. Se invece l’oggetto si trova a una distanza superiore alla distanza operativa di uno dei due illuminatori, esso verrà illuminato solo dal più potente tra i due, e non ci sarà alcun effetto di sommatoria dell’illuminamento.
Maximal operational distance of IR illuminator | Distanza operativa massima dell’illuminatore a infrarossi |
Combined operational of both IR illuminators | Funzionamento combinato di entrambi gli illuminatori a infrarossi |
Distance at which illuminance of common spot is summed up | Distanza alla quale l’illuminamento di un punto condiviso viene sommato |
Distance at which object will be illuminated only by a more powerful (“distant”) illuminator | Distanza alla quale l’oggetto viene illuminato soltanto dall’illuminatore più potente (“distante”) |
Un aspetto negativo degli illuminatori laser è legato al potenziale pericolo per l’occhio umano derivante dall’esposizione al laser, qualora la radiazione ecceda la classe 1 di sicurezza. Per questo motivo nella maggioranza dei Paesi solo gli illuminatori con laser di classe 1 (che sono totalmente sicuri) possono essere messi in commercio. Questo fatto limita notevolmente la loro diffusione.
Gli illuminatori laser di classe 1 progettati correttamente sono più efficaci degli illuminatori LED standard, dato che offrono una distanza operativa simile essendo al contempo di dimensioni inferiori e consumando meno energia.
La divergenza angolare del raggio di un illuminatore a infrarossi deve essere simile al campo visivo angolare di un dispositivo notturno per poter illuminare tutta l’area visibile con quest’ultimo. Maggiore è la divergenza angolare, minore l’illuminamento dell’area e quindi la distanza di illuminamento. In pratica gli illuminatori a infrarossi diffondono l’energia (l’illuminamento) in maniera disomogenea sull’area osservata. Normalmente la zona centrale ha un’energia superiore rispetto alle zone periferiche. Questo significa che, aumentando la divergenza angolare, si noterà chiaramente la riduzione dell’illuminamento nella zona periferica e il corrispondente illuminamento più intenso della zona centrale.
Quando si tratta di scegliere un illuminatore a infrarossi per un dispositivo per la visione notturna è necessario considerare l’intervallo spettrale nel quale il dispositivo opera. La massima efficacia (distanza di illuminamento) si avrà con un illuminatore con una lunghezza d’onda alla quale il dispositivo notturno possiede la più alta sensibilità. Ad esempio, con un illuminatore con lunghezza d’onda di 808 nm un dispositivo digitale avrà una visione migliore rispetto a un illuminatore con lunghezza d’onda di 940 nm, a indicare che la sensibilità del sensore a 808 nm è superiore.
CCD sensor spectral sensitivity graph |
Grafico della sensibilità spettrale di un sensore CCD |
Spectral range of 808 nm IR illuminator | Intervallo spettrale di un illuminatore a infrarossi da 808 nm |
Spectral range of 915 nm IR illuminator | Intervallo spettrale di un illuminatore a infrarossi da 915 nm |
Wavelength, nm | Lunghezza d’onda, nm |
C’è un altro vantaggio degno di nota degli strumenti digitali notturni quando vengono utilizzati in combinazione con illuminatori a infrarossi. Rispetto ai tubi a intensificazione d’immagine, i sensori dei dispositivi digitali hanno complessivamente una sensibilità inferiore, ma tuttavia una sensibilità molto più alta nell’intervallo spettrale da 900 nm in su. Le radiazioni in questo intervallo sono già invisibili all’occhio umano e degli animali. Questo consente di utilizzare in maniera proficua degli illuminatori a infrarossi invisibili in combinazione con i dispositivi digitali per aumentare l’illuminamento degli oggetti osservati, mentre al contrario sarebbero inutili con degli strumenti analogici. Questo risulta ancor più vero nell’ambito di una battuta di caccia: i cacciatori possono usare con sicurezza illuminatori “invisibili” per avere un illuminamento supplementare, che gli animali non vedono e dal quale non vengono quindi spaventati.
L’effetto della potenza e del tipo degli illuminatori a infrarossi sulla distanza di riconoscimento, in base alla sensibilità di un dispositivo, è mostrato nella tabella 1 (per illuminatori laser) e nella tabella 2 (per illuminatori a LED)
I dati sono riferiti a queste condizioni: notte senza luna, cielo nuvoloso, atmosfera trasparente (senza nebbia e foschia). Come oggetto di osservazione si è ricorso a una figura umana adulta con abbigliamento mimetico, con i margini di una foresta come sfondo. La divergenza angolare del raggio degli illuminatori a infrarossi è di 5-7 gradi.
Tabella 1
Sensibilità a una lunghezza d’onda di 780 nm, mW |
Laser 780 nm |
Sensibilità a una lunghezza d’onda di 915 nm, |
Laser 915 nm |
||||
Distanza di riconoscimento, m |
Distanza di riconoscimento, m |
||||||
10 mW |
20 mW |
50 mW |
10 mW |
20 mW |
50 mW |
||
400·10-5 - 500·10-5 |
40-50 |
60-75 |
90-110 |
100·10-4 - 150·10-4 |
30-40 |
50-60 |
70-80 |
150·10-5 - 200·10-5 |
60-80 |
80-100 |
120-140 |
35·10-4 - 50·10-4 |
50-70 |
70-90 |
100-120 |
25·10-5 - 70·10-5 |
100-120 |
125-160 |
170-220 |
15·10-4 - 30·10-4 |
80-90 |
90-110 |
140-160 |
15·10-5 - 20·10-5 |
130-150 |
170-190 |
230-270 |
6·10-4 - 10·10-4 |
100-120 |
130-150 |
180-200 |
6·10-5 - 10·10-5 |
160-180 |
210-230 |
280-320 |
4·10-4 - 5·10-4 |
130-160 |
160-180 |
210-230 |
1·10-5 - 5·10-5 |
200-260 |
280-320 |
380-440 |
1·10-4 - 3·10-4 |
170-220 |
190-240 |
250-300 |
Tabella 2
Sensibilità a una lunghezza d’onda di |
LED 805 nm |
LED 850 nm |
Sensibilità a una lunghezza d’onda di 915 nm, |
LED 940 nm |
||||||
Distanza di riconoscimento, m |
Distanza di riconoscimento, m |
Distanza di riconoscimento, m |
||||||||
20 mW |
50 mW |
100 mW |
20 mW |
50 mW |
100 mW |
20 mW |
50 mW |
100 mW |
||
400·10-5 - 500·10-5 |
35-45 |
60-80 |
120-140 |
20-30 |
50-70 |
80-110 |
100·10-4 - 150·10-4 |
20-25 |
40-60 |
70-90 |
150·10-5 - 200·10-5 |
50-60 |
90-110 |
150-180 |
40-50 |
80-90 |
130-150 |
35·10-4 - 50·10-4 |
30-40 |
60-80 |
110-140 |
25·10-5 - 70·10-5 |
70-80 |
120-140 |
210-250 |
60-70 |
110-120 |
170-200 |
15·10-4 - 30·10-4 |
50-60 |
90-100 |
150-170 |
15·10-5 - 20·10-5 |
85-90 |
150-160 |
270-300 |
80-90 |
130-140 |
210-220 |
6·10-4 - 10·10-4 |
65-70 |
120-130 |
190-210 |
6·10-5 - 10·10-5 |
100-110 |
170-190 |
310-340 |
100-110 |
160-180 |
240-280 |
4·10-4 - 5·10-4 |
80-90 |
140-160 |
220-250 |
1·10-5 - 5·10-5 |
120-150 |
210-260 |
350-380 |
120-160 |
190-240 |
300-350 |
1·10-4 - 3·10-4 |
100-130 |
170-200 |